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se esiste il senso della realtà deve esistere il senso della possibilità

Mervyn Peake: un genio (quasi) dimenticato

Mervyn Peake 2Ha scritto uno dei romanzi fantastici più originali, inafferrabili e letterariamente potenti della storia della letteratura. E’ stato illustratore, scrittore per ragazzi, poeta visionario di grande vivezza espressiva. Mervyn Peake di cui nel 2011 si è ricordato il centenario della nascita è però quasi ignorato da noi in Italia. Da oggi mi piace riportare alcuni brani di un saggio che avevo scritto qualche anno fa su di lui e altri scrittori fantastici e di fantasy. A cominciare da una descrizione del suo capolavoro “Tito di Gormenghast”.

“Gormenghast, ovvero l”agglomerato centrale della costruzione originaria, avrebbe esibito, preso in sé, una certa qual massiccia corposità architettonica, se fosse stato possibile ignorare il nugolo di abitazioni miserande che pullulavano lungo il circuito esterno delle mura ineerpicandosi su per il pendio, semiaddossate le une alle altre, fino alle bicocche più interne che, tratte,nute dal terrapieno del castello, si puntellavano alle grandi mura aderendovi come patelle a uno scoglio”. L”incipit, formadabile, del romanzo, è già una sintesi perfetta dell”atteggiamento della scrittura di Peake nell”edificare il suo universo. Anzitutto, direttamente a fianco del soggetto troviamo una congiunzione al posto di un verbo; come a segnalare fin dall”inizio che il testo non ha una progressione lineare, dinamica verso una meta, ma è una diramazione di meandri nello spazio. Due soli verbi coniugati animano la prosa; ma il primo è un condizionale e quindi continua a spiegarci ciò che il soggetto potrebbe essere ma in effetti non è, il secondo invece “si puntellavano” si riferisce non al castello ma alle abitazioni più umili e meno visibili della descrizione. Tutto l”intero primo periodo, non dice quindi nulla direttamente di Gormenghast ma storna subito l”attenzione di chi legge verso, per così dire, i suoi “accessori”. L”avvertimento è quindi chiaro. Inutile aspettarsi uno sviluppo progressivo dei temi e delle informazioni, tantomeno prove da superare, amuleti davtrovare e nemici da abbattere. Gormenghast è un universo tautologico che parla continuamente di sé e afferma solo se stesso. Per farlo si serve di questa sintassi contorta, lavorata fino all”estenuazione delle sue possibilità, e, narrativamente, si poggia tutto su un lento e costante digradare da una condizione di base: la vita immobile del sistema, che in ogni momento viene sottoposta a tensioni e rilassamento, come un enorme cuore con sistole e diastole rallentate fino allo stremo. E” un universo claustofobico, una geografia minuta e accuratissima proprio perché lo spazio è minimo e le parentesi in esso innumerevoli. E” questo il motivo per cui ogni antro, ogni soffitta, ogni angolo del acstello ha un”importanza vitale. Ogni particolare rivendica il diritto ad esistere come le macerie fumanti di Londra, anche quando si trova solo in prossimità del castello/universo” (…) alle pendice di Gormenghast ogni filo d”erba proclamava la sua importanza, i pochi sassi sparsi qua e là si offrivano al cervello con piglio autoritario, imprimendovi ciascuno i propri contorni recisi, la propria massa luminosa, alta sulla sua chiazza di inchiostro”.Questa passione per il dettaglio, per il bagaglio di caratteristiche che vivono in ogni cosa si comunica poi ovviamente anche ai protagonisti umani dell”opera. Si ha la netta impressione che ogni dilaogo, ma anche ogni reazione ed atteggiamento psicologico sia sovraccaricato da tensioni e significati che sono perfettamente intelligibili per i personaggi ma risultano all”inizio oscuri al lettore che viene quindi continuamente spronato a indagare, immergersi non semplicemente nella storia ma nelle strampalate personalità che la cpmpongono. Le faide inespresse, le rivalità, l”orgoglio che diverranno motore della storia nella parte conclusiva del romanzo sono ora come soffocate, appartengono ad un profondo di ogni anima nel quale non ci si addentra gratuitamente. La galleriea dei personaggi folli, incomprensibili sottintende molti ieri, misteriosi ma all”apparenza uguali all”oggi che stiamo leggendo, come se ogni atteggiamento fosse nascosto e indagabile dietro alla maschera eterna che affiora nei rituali ossessivi e ripetitivi che reggono il castello. Molto si è scritto per spiegare, o tentare di spiegare, questa peculiarità del mondo fantastico di Peake: l”esperienza della guerra, la disperante visita nel campo di concentramento di Belsen, c”è anche chi ha messo in luce che l”anno della pubblicazione dell”opera, il 1946 è lo stesso in cui vede la luce l”Universo Concentrazionario di David Rousset prima opera europea di un detenuto in un lager che cerca di spiegarne il sistema vigente di leggi e consuetudini non scritte. Forse ha semplicemente ragione Anthony Burgess che nella prefazione riportata anche nell”edizione italiana dell”opera parla di un””indifferenza alla dimensione temporale e di una ossessione per il tutto pieno”. Geografia e contesto umano sonoinfatti un tutt”uno corposo e massiccio, un insieme che si sposta lentamente come una immensa bestia preisotrica. Ed ha ragione anche Michael Moorcock grande scrittore contemporaneo e dichiaratamente emulo di Peake, quando dice che in Tito di Gormenghast l”autore “non sta semplicemente scrivendo un romance, ma lo sta esaminando”, come per trovare delle “pecche nella sua ragion d”essere”. Già perché lo sguardo di Peake non dà pace alla sua creatura. Se Gormenghast non teme nessun assalto dall”esterno, se è orgogliosamente abbarbicato sulla sua roccia è invece messo a nudo sul piano simbolico da una penna che con il suo acume, le sue inclinazioni al grottesco, la sua accecante introspezione nell”organico sembra non conoscere limiti o esitazioni. E” vero, la geografia e la galleria di tipi umani di Tito di Gormenghast riproduce una mente smisurata e portentosa che parla di uomini e cose, quasi processandoli, perché essi diano conto del loro essere. Entrare allora a Gormenghast significa fare un viaggio in un Altrove che non è meta né labirinto, è invece un un universo inaudito e “a parte” perché una colpa immateriale vi aleggia. Autore e lettore partono insieme per l”impresa di scoprirne almeno i contorni.

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