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Come comincia ‘La musica è altrove’

Questo è il prologo del mio libro, immaginato e poi realizzato cercando di imitare le movenze di una fiaba, romanzando un po’ alcuni aneddoti della vita di Angelo Branduardi, tanto però per dare quel tocco fiabesco che si addice a così tante delle sue canzoni…

Questo libro deve iniziare come una favola. Deve iniziare con un «c’era una volta». Ma, attenzione, non si tratta di un imperfetto nostalgico, che evoca qualcosa di irrimediabilmente sepolto nel passato. È l’imperfetto di una favola, iniziata tanti anni fa e che ha tante di quelle cose dentro da sgusciare fuori dal tempo per poi rientrarvi quando le pare, così come fanno le storie che non importa se procedono a zig zag, si fermano e poi ripartono, basta che non finiscano.

Le favole sono piene di cose e di vita, di oggetti favolosi, di ospiti inattesi, di fratelli e stranieri, di uomini che vengono da lontano e di monete nascoste sotto il cuscino. Non importa in che ordine arrivino. Importa che ci sono e che riempiono la storia. E così per iniziare questa di storia diciamo che c’era una volta un violino, ma prima ancora c’era un tram diretto al porto di una città di mare e sopra quel tram viaggiava la mattina presto un uomo che lavorava appunto in quel porto. La città è Genova. Se poi vogliamo raccontarla come si conviene, un altro elemento tipico che nella favola ci sta bene è la stranezza, qualcosa che si può alla fine spiegare ma sulle prime sorprende e mette in moto l’immaginazione di chi la ascolta. Dunque, cosa c’entra un violino con un tram? Come stranezza non c’è male. Ma come nel ranocchio può nascondersi il sorriso di un principe così un tranviere può trasformarsi in liutaio, uno che per passione, di notte, dopo aver condotto al deposito la sua vettura si mette a trafficare con pialla bulino e cere, collanti e colori, finché come mastro Geppetto tira fuori dal legno un oggetto vitale, capace di trasmettere vibrazioni nell’aria, materia volatile ma concreta, suono, appunto.

Ora che lo vedete all’opera notturna, dovete sapere che sta costruendo un violino proprio per l’uomo che incontra di mattina presto sul tram. Quattro chiacchiere, si comincia a dire del tempo, degli orari di lavoro, magari al capolinea dove c’è un caffè in attesa e poi si prosegue parlando della famiglia, dei figli: l’uomo che lavora al porto gli parla di un figlio che qualche giorno prima ha accompagnato a una festa organizzata per i bambini dei quartieri più poveri della città. Musica, balli, poi l’esibizione di un solista, un solista col violino. E da quel momento il ragazzo non ha staccato gli occhi da quel legno flessuoso, accarezzando con lo sguardo le sue curve, facendo guizzare i suoi occhi a caccia degli scatti frenetici dell’archetto.

Lì il padre ha deciso. Suonerà il violino. Gli legge negli occhi la sincerità della scelta. Del resto lui ha familiarità con la musica, sa cosa vuol dire quando si impossessa di te, dei tuoi nervi, delle tue fibre. Lui ogni tanto si chiude in camera col giradischi, mette su Verdi e comincia a dirigere. Da solo, lui e l’orchestra nascosta nella puntina che percorre i solchi. Non sa che cosa succederà di lì a qualche anno a Londra. Ma quella è già storia, di Angelo Branduardi. È il 1981. Quel figlio dentro un’orchestra, la London Symphony Orchestra, una di quelle che tante volte ha diretto nella sua stanza. Lì dentro. Per davvero.

Ma ora rimaniamo a Genova: una città che porta a terra il ritmo del mare. Insenature, rientranze, spiragli tra le costruzioni e lingue d’acqua che ne lambiscono la dorsale di cemento. Ma il senso del mare c’è anche in quell’andare e venire di gente che la costeggia, sfuggendo e ritornando, nelle strade che lo nascondono e lo svelano. È una città dove si arriva e si parte, dove si può vivere con una passione in testa e nascondersi in quel brulichio che ti circonda col pensiero del mare che ogni tanto ti ridà un orizzonte solo tuo, dove può abbandonarsi il desiderio e dipanarsi il sogno. Il bambino ora cammina con il suo violino, il violino del lavoro notturno, il violino del tranviere. Ogni mattina percorre quel dedalo di strade. Cammina rasente il muro perché si vergogna quasi della sua passione. Vive in un quartiere povero, dove al piano di sotto c’è chi fa il mestiere più antico del mondo, ci sono altri ragazzi, c’è anche qualcuno che fa avanti e indietro dalla galera, ma anche tanti che semplicemente non capiscono come si possano perdere le ore curvi su un pezzo di legno da cui si tirano fuori a fatica squittii insopportabili. Poi un giorno arriva un maestro di scuola, che viene a sapere tutta quella storia, del tranviere e del padre che lavora al porto, di quella passione e di quella vergogna. Il maestro sfida quell’impasto di sentimenti pulsioni imbarazzi e desideri e il bambino col violino si esibisce di fronte alla sua classe. Prima ci sono solo una manciata di compagni distratti, poi a metà mattina la classe si riempie, alla fine del pomeriggio c’è tutto l’istituto incantato dalle note di quel legno che ora è diventato come la carrozza di Cenerentola. È allora un inizio di fiaba giusto? Ci son poche invenzioni e c’è il nocciolo del racconto di una vita che un po’ più tardi diventa storia. In un anno importante, il 1968.

 

 

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