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se esiste il senso della realtà deve esistere il senso della possibilità

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I Nani: Dal Medioevo a Disney, passando per i Grimm

Così come nel caso di altre creature mitologiche, anche i nani sono personaggi stimolanti per la mente e la scienza del filologo, soprattutto per quelli come i Grimm che nelle storie amano verificare certe caratteristiche, nature e comportamenti di questi autentici pezzi dell’immaginazione degli antichi popoli germanici. 
L’origine del termine resta oscura, anche se la presenza di parole etimologicamente affini nelle principali lingue germaniche antiche sottintende che la credenza in questi esseri soprannaturali fosse quasi uniformemente diffusa.
Nell’Edda poetica, la raccolta di poemi tra i più antichi della letteratura nordica, c’è un carme, detto della Veggente, in cui scopriamo in un dovizioso catalogo molti nomi dei nani; se ne ricorderà Tolkien nello Hobbit per identificare i compagni di Bilbo nella spedizione verso la montagna solitaria. E’proprio la letteratura antico nordica ad offrire il maggior numero di attestazioni delle loro caratteristiche: quasi sempre si tratta di creature del sottosuolo, sopraffini artigiani soprattutto nella lavorazione dei metalli più nobili, avidi ma saggi e spesso detentori di una sapienza che fa invidia agli dei. Ce n’è un altro di questi carmi, lo Alvissmal, dove il dio Thor, stupito dalla conoscenza del nano Alvis (che già nel nome indica le sue qualità di onnisciente, colui che tutto sa ‘Al-wis’) finisce per toglierselo di torno. Ci sono poi anche anelli preziosissimi e catene che tengono a freno i lupi più selvaggi. Tutti opera di questi esseri. Che sono poi bravissimi a forgiare spade utili all’eroe di turno. Nella Saga di Egil il monco è proprio un nano, grato per un dono di Egil, a curare la ferita del guerriero e a fissare in cima al moncherino del suo braccio una spada che possa consentirgli di tornare a combattere. Altre volte però il nano non è così riconoscente e si dimostra inaffidabile e imbroglione.
In Gran Bretagna invece di nani si parla poco eccetto il caso di antichi testi magici o di tipo medico, dove si fa riferimento a piante utili per curare il tremore degli arti causato dai loro malefici influssi
In Germania il caso è curioso, perché nei poemi epici, di più alta ispirazione i nani fanno a malapena capolino, mentre sono onnipresenti nelle narrazioni a carattere maggiormente ‘fiabesco’. L’incontro con una di queste creature viene menzionato per la prima volta nel Ruodlieb, un poema incompiuto e scritto in latino poco dopo l’anno Mille. Qui c’è un nano che, dopo essere stato catturato dall’eroe, gli offre preziosi consigli in cambio della libertà: se Ruodlieb ne terrà conto potrà entrare in possesso di un tesoro e ottenere in sposa la bella Heriburg: promessa di tesori e d’amore a colpi di estenuanti trattative. Una serie di motivi che tornerà spessissimo, sia nelle leggende che nelle fiabe.
Nei Nibelunghi, il più famoso tra i poemi germanici, l’incontro con i nani possessori del tesoro per quanto importante nello sviluppo della trama non viene raccontato direttamente ma solo ricordato da Hagen nella terza ‘avventura’ del poema. Ma gli elementi convenzionali anche qui abbondano: la spada magica, l’anello che moltiplica le forze del portatore, la cappa che dona l’invisibilità.  L’atmosfera fiabesca domina nel più tardo Lied vom Huernen Seyfried (del quale abbiamo solo copie a stampa risalenti al sedicesimo e diciassettesimo secolo) in cui il nano Eugel aiuta il giovane eroe nella lotta con un gigante sputafuoco e, dopo aver  salvato dalla morte Crimilde con una pianta miracolosa, informa il protagonista del tesoro nascosto ‘sotto la montagna’ e ne profetizza il futuro. E’ un nano questo che riassume un po’ tutte le caratteristiche della sua ‘specie’: abilità nel lavoro artigianale e nella custodia di oggetti preziosi, capacità profetiche, miracolose, possibilità di essere donatore o istigatore al male. Le sperimenterà anche il Teodorico delle più tarde leggende dove i nani lo accompagnano un po’ dovunque: c’è per esempio l’episodio del ‘Re Laurin’ in cui Teodorico si trova all’interno di un reame governato e popolato interamente da nani, il cui re dopo aver piantato una meravigliosa  rosa nel suo giardino minaccia di morte chiunque ne oltrepassi il confine. Inutile aggiungere che Teodorico accetterà la sfida…
Nel libro dei Grimm i nani rivestono un ruolo importante all’interno di almeno una dozzina delle 200 fiabe. I più celebri sono ovviamente quelli di Biancaneve: in loro gli autori condensano alcune caratteristiche apparentemente contrastanti del repertorio conosciuto: sono infatti estrattori di metalli dal monte e sono consiglieri buoi ma, a differenza di altri contesti, non sono affatto attratti dall’oro che il principe offre loro per avere la bara di Biancaneve apparentemente morta: cedono infatti solo dopo avere ben meditato le sue parole e si impietosiscono avendo valutato la saldezza e la sincerità del suo amore.  La seconda fiaba per notorietà che vanta un eroe dalle dimensioni minute, è quella di Tremotino, il nano che rientra invece perfettamente nel cliche del donatore che propone un patto scellerato: aiuterà la figlia del mugnaio a filare oro dalla paglia solo in virtù di ricompense sempre più esose fino a giungere a farsi promettere il primo figlio della donna una volta andata sposa al re. Allo stesso modo anche l’omino nero della fiaba Il re del monte d’oro sottopone al mercante un patto con una formula enigmatica e indecifrabile ma che si rivelerà esiziale: la fortuna commerciale in cambio del figlio appena nato. La frase in sé ricorda molto gli enigmi dei poemi antichi anche se termina con una nota decisamente più popolare

            “Non t’affliggere – disse l’omino – se mi prometti di portare qui tra dodici anni quel che a casa ti viene fra le gambe per primo avrai denaro a volontà”. Il mercante pensò “Non potrà essere che il mio cane”. Non pensò al suo piccino e acconsentì; gliene rilasciò promessa scritta, con tanto di sigillo, e andò a casa

Ne I tre omini del bosco, nella splendida L’acqua della vita e ne L’oca d’Oro i nani invece remunerano con favolose ricompense chi ha buon cuore e li aiuta nel momento del bisogno, accanendosi invece contro chi rifiuta loro l’aiuto. Singolare il caso della prima storia de Gli gnomi in cui l’aiuto e la ricompensa sono vicendevoli tra il calzolaio e i misteriosi esserini, che col loro inatteso e notturno soccorso lo salvano dalla miseria. Accortosi un giorno del loro contributo, l’artigiano gli fa trovare nottetempo degli abiti nuovi e perfetti, per cui i nani

            “a mezzanotte arrivarono saltellando e vollero mettersi subito al lavoro; ma invece del cuoio, trovarono quelle graziose vesti: prima si stupirono, poi dimostrarono una gran gioia.”

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Il Paese delle fiabe ‘sta nascendo’

Il mio libro sui fratelli Grimm, le fiabe, la storia e la geografia della loro Germania tra passato e presente è ormai in stampa. Per intanto ecco l’immagine di un particolare della copertina che mostra una casetta che ci ricorda tanto…che cosa? Se non vi viene in mente aspettate ancora qualche giorno…

Come dirlo meglio di Schelling?

Forse per molti fruitori, lettori, conoscitori interessati questa frase potrà sembrare portare con sé la magniloquenza dell’Ottocento, il secolo romantico – e romantico soprattutto nella prima metà – per cui per ogni aspetto o tema della cultura e della vita ci si librava fino alla definizione più aerea, emotivamente appagante, e giustificabile da una logica razionale sì ma che era anche logica della passione; e però non riesco a trovare a tutt’oggi e a valle di molte, forse troppe letture, una definizione del lavoro di qualsiasi artista migliore e più reale di questa del grande filosofo tedesco Friedrich Schelling

Se ogni prodotto della natura «possiede per un solo istante la vera bellezza perfetta, possiamo allora dire anche che possiede per un solo istante la pienezza dell’esistenza. Esso è in questo istante ciò che è in tutta l’eternità: al di fuori di quell’istante lo attende solo il divenire ed il perire. L’arte, rappresentando l’essenza in quell’istante, la sottrae al tempo; la fa apparire nel suo puro essere, nell’eternità della sua vita

E lo ripeto: come dirlo meglio?

Philip Pullman sui Grimm: chiarezza e perfezione

Onore a Philip Pullman: il notissimo autore de la trilogia de La Bussola d’oro, capace di slanci immaginativi favolosi e di goffe cadute ideologiche, spiega sul Guardian la sua riscrittura di 50 fiabe dei fratelli Grimm, e lo fa in modo incomparabile, accurato, partecipato, affabile, scientifico: maneggiando con rispetto e cura il materiale ereditato e sfoggiando osservazioni ineccepibili, imperdibili, utilissime per chi voglia assimilare i fondamenti dell’arte di narrare una fiaba.

Eccoli allora, riassunti in poche parole.

1) I personaggi: convenzionali certo, descritti senza alcuna cura per l’interiorità, spesso privi di nome, sembrano figure di un ‘teatro giocattolo’. Piatte non arrotondate. Un solo loro lato è visibile a chi li guarda, ma è l’unico necessario. “Sono descritti in atteggiamenti di intensa attività e passione, cosicché la loro parte nella rappresentazione può essere facilmente letta a distanza. E il racconto è di gran lunga più interessato a ciò che fanno e fanno accedere che alla loro individualità”. Che dire? Applausi

2) La velocità è la “grande virtù” delle fiabe. Una bel racconto si muove alla velocità del sogno da un evento all’altro, fermandosi solo per il tempo necessario e nulla più. Nulla a che fare con la narratriva moderna. Nomi, aspetto, contesto sociale son particolari che rallenterebbero e la fiaba li evita con estrema leggerezza”

3) Il ginepro. Una delle fiabe più belle anche per Pullman. Non migliorabile soprattutto nella parte in cui all’evocazione di un mese corrisponde esattamente un evento, uno sviluppo della gravidanza della madre che aspetta il figlio sotto l’albero: lo stesso dove avverrà la sua risurrezione. Perfetta è anche i Musicanti di Brema: ad ogni frase c’è un avanzamento della narrazione. Non è possibile far meglio.

4) La fiaba non è un testo. Ma è una “narrazione che muta, cresce, può essere stata interrotta da un naso atturato o da un colpo di tosse. Molta gente le ha tramandate così, cambiando di giorno in giorno i particolari e per questo ogni parola porta in sé una storia, una personalità. Chi vuole riscriverle dovrà allora scegliere quel tipo che più si adatta alle proprie inclinazioni narrative: per la commedia, il thriller, la suspense. Una fiaba è in perenne stato di divenire e di alterazione.

5) il giusto ‘tono’. Tendere alla chiarezza. Senza però arrovellarsi troppo. Scrivere questo tipo di storie è una delizia che sarebbe peccaminoso guastare con le proprie ansie. E poi – grandioso – non è “necessario inventare”. La sostanza della storia c’è già tutta, esattamente nel modo in cui la sequenza di accordi in una canzone è a disposizione di un jazzista. Affrontarla dunque con tutta la leggerezza e lo swing di cui siamo capaci.

6) Rispetto e cortesia per lo spiritello che ‘protegge’ ciascuna di queste storie. Libero, irriverente, giovane o vecchio che sia, femmina o maschio. E proteggerà anche chi ne riscrive una. E a chi vi accuserà che ciò non ha senso e che per raccontare una storia c’è bisogno solo dell’immaginazione umana dovrete rispondergli: ‘Certo, ma questo è il modo in cui lavora la mia”. Grande Philip Pullman. Magistrale.

La torre dove non osano i critici

In un celebre saggio sul Beowulf, il famoso poema epico in inglese antico, Tolkien contravvenne ad una delle sue massime di vita e scrisse un’allegoria, lui che cordialmente le detestava. Ma detestava molto di più chi fa a pezzi un’opera d’arte perdendone il senso di insieme per andare a caccia di particolari irrilevanti, componenti ed elementi che appartengono più alle interpretazioni che al senso di ciò che si sta analizzando. Perché un’opera letteraria deve parlare come dal futuro. Deve esser studiata certamente nei suoi elementi ma per metterne in luce la capacità progressiva, di ampliare lo sguardo del lettore e dire solo a lui qualcosa di sé che ancora non sapeva. Qui si incontrano filologi (che studiano la parola per liberarne i sensi profondi e produttivi) e fruitori (che quelle parole accolgono per piacere godimento estetico). E da qui si può guardare avanti, dove c’è per Tolkien il mare. Ecco la sua riflessione

Un uomo ereditò un campo in cui si ergeva un cumulo di vecchie pietre, parte di un antico edificio. Alcune di queste pietre erano già state usate per costruire la casa in cui egli viveva, non lontano dall’antica dimora dei suoi padri.
Delle restanti, egli ne prese una parte per costruire una torre. Ma i suoi amici si accorsero a un certo punto (e senza preoccuparsi di salire le scale) che queste pietre in precedenza erano state parte di un edificio più antico.
Così essi gettarono la torre a terra, non senza fatica, per cercare incisioni e iscrizioni nascoste, o per scoprire da dove i remoti antenati dell’uomo si erano procurati il materiale da costruzione. Alcuni, sospettando l’esistenza di un deposito sotterraneo di carbone, cominciarono a scavare per cercarlo, dimenticando anche le pietre.
Tutti quanti dicevano: «La torre è estremamente interessante». Ma dicevano anche (dopo averla rasa al suolo): «Che disordine c’è qui!»
E anche gli stessi discendenti dell’uomo, che avrebbero ben potuto considerare quel che egli era stato sul punto di fare, furono uditi mormorare: «È un tipo così strambo! Pensa, usare queste antiche pietre solo per costruire una torre del tutto insensata! Perché non ha restaurato la vecchia casa? Non aveva il senso delle proporzioni!»
Ma dalla cima di quella torre l’uomo era stato in grado di spingere lo sguardo sino al mare.

Fantasie colpevoli?

Appurato che Neil Gaiman non è il papà di Batman e che le stragi della follia negli Stati Uniti avvenivano anche in spazi di solito poco frequentati dai Supereroi (come a Columbine), va però detta una parola sull’ennesimo caso in cui dopo avvenimenti di questo genere si tirano in ballo fumetti, fantasy o giochi di ruolo.

C’era una volta la vecchia polemica sull’escapismo, sull’evasione in mondi lontani e irraggiungibili vista come rifiuto della realtà da parte dei soloni dei salotti letterari  e delle pagine culturali dei quotidiani, o al più sopportata con degnazione come innocente fuga nell’utopia, quando il giudizio si ammantava di sapienza sociologica. Oggi le cose sono radicalmente cambiate, visto che il ‘genere’ è stato abbondantemente sdoganato e che fumetti, eroi fantastici o super garantiscono grandi introiti un po’ dovunque. E allora ecco la trovata di rendere sempre più vicini mondo fantastico e mondo reale creando nello spettatore l’illusione di verità attraverso sofisticate elaborazioni computerizzate da un lato e dall’altro infarcendo trame, situazioni e dialoghi fantastici di guizzi ironici, trovate comiche e complici (ricordate lo skateboard di Legolas nel Signore degli Anelli di Jackson?) che riducono la distanza, appannano la sacralità delle origini ed accentuano l’effetto di immedesimazione anche nello spettatore meno preparato ai sottotesti che il genere porta con sé dalle brumose origini mitologiche.

Ecco così che si è creato un effetto curioso: mondi fantastici e protagonisti tanto  più super per effetti speciali visivamente perfetti e ineccepibili (e quindi in questa perfezione tecnica resi reali) quanto  più ‘umani’ e vicini  nei loro comportamenti e nel loro steso modo di essere. Un fantastico che giunge tra di noi, che non richiede più salti da fare ma solo un aggiornato sistema di sintonizzazione, da poltrona di casa o con occhialetto in 3D

E’ in questo calderone indistinto che ogni limite si abbatte e tutto sembra plausibile e riproducibile. La fantasia non è più esperienza di mondi altri dove esercitare discernimento, confrontare il bene e il male, sperimentare la possibilità che la realtà nasconda misteri e spazi di crescita umana: il fantasy usa e getta di oggi è l’ennesimo spettacolo mediatico che invita il fruitore a esserne parte senza bisogno di pensare, di addestrarsi, di proiettarsi in una dimensione diversa.  Tutto così diviene a portata di mano. Anche e soprattutto il male che da sempre affascina più del bene anche se alla fine in quei mondi veramente altri necessariamente perdeva.

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