La poesia Tintern Abbey di William Wordsworth chiude la raccolta delle Lyrical Ballads che l’autore pubblicò nel 1798 assieme all’amico Samuel Taylor Coleridge che vi contribuì come è noto con uno dei suoi capolavori assoluti: La ballata del vecchio marinaio. Il libro, che rappresenta uno spartiacque nella storia della letteratura occidentale, ebbe subito un buon riscontro di pubblico con 500 copie vendute in poco tempo e la pubblicazione di alcuni estratti sui periodici dell’epoca, perfino su quelli femminili.
Le Lyrical Ballads sono un testo esemplare del romanticismo europeo per la rivalutazione dell’immaginazione creativa, il tentativo di coniugare l’apertura all’incanto e al soprannaturale con la descrizione realistica della vita rurale, la passione per l’essenza intima e quotidiana delle cose e la ricerca di un senso nascosto e misterioso insondabile per la pura ragione. Il gusto, infine, per uno stile che privilegiasse l’espressione immediata, per rimanere come affermavano i due poeti nella prefazione alla seconda edizione, quella del 1800 “in compagnia della carne e del sangue”.
Ecco, è proprio il concetto di compagnia che quest’ultima poesia, Tintern Abbey, pone in evidenza in maniera inequivocabile. Una compagnia attraverso la quale il poeta riesce a leggere le suggestioni del paesaggio con altri occhi oltre ai suoi e porge così la poesia come dono da mettere in comune; di più, come emozione che può essere profondamente sentita solo condividendola con un altro che è parte attiva, integrazione del proprio sguardo e in questo assieme destinatario e coautore ideale della sostanza del testo. Progressivamente e in modo sempre più convincente la presenza della sorella Dorothy, che visse assieme al poeta tra i villaggi del Lake District nel nord dell’Inghilterra, misura il passaggio verso questa intuizione, che il poeta afferma verso il termine della lirica quasi come una vittoria, un affrancarsi da una pura emozione individuale.
La poesia si apriva infatti inizialmente con uno sguardo sulla natura circostante a rievocare le emozioni vissute dall’autore nel passato
Cinque anni sono passati; cinque estati, con la durata
Di cinque lunghi inverni! E di nuovo torno ad ascoltare
Lo scorrere di queste acque giù dalle loro sorgenti montane
Con un dolce interno mormorio. Una volta ancora
contemplo questi erti, eccelsi colli, che su una scena selvaggia ed appartata
imprimono un senso di più marcata solitudine e fondono
il paesaggio con la pace del cielo. (…)
questi rustici lotti, e questi ciuffi di frutteti
che in questa stagione, coi loro frutti ancora acerbi
si confondono coi boschi e coi cespugli
né con le loro tinte verdi e semplici disturbano
il selvaggio verdeggiare del paesaggio. (…)
Il tono è quasi referenziale. Lo sguardo è certamente appassionato, ma a tratti così esatto da diffondersi su particolari agricoli con un tono non troppo dissimile da quello virgiliano nelle Georgiche. Subito però il rapporto tra passato e presente viene prepotentemente alla ribalta, trascinando con sé il vissuto personale del poeta
Eppure stando a lungo lontano
Queste forme di bellezza per me non sono state
Quello che è un paesaggio agli occhi di un cieco.
Perché spesso in luoghi solitari o in mezzo al frastuono
Di paesi e città sono stato loro debitore,
nei momenti di noia, di dolci sensazioni
avvertite nel sangue, dentro al cuore
e perfino nella parte più pura della mente (…)
sensazioni di un piacere che non si può ricordare
ma tali da riuscire ad avere un influsso non banale
sulla parte migliore della vita di un brav’uomo (…)
Tra i meriti di questa introspezione tra le cose, c’è anche quello di aprirsi a qualcosa che trascende tanto quel paesaggio, quanto la mente stessa dell’osservatore. E in questo personale “naufragar” tra le cose e il loro ricordo Wordsworth non perde la bussola, anzi…
Né meno credo, sono stato loro debitore di un altro dono
Di natura più sublime, quella disposizione benedetta
In cui il fardello del mistero
In cui il peso grave e logorante
Di questo mondo indecifrabile
Si fa più leggero (…)
Se in gioventù l’esuberanza dello sguardo, la percezione di essere costantemente in presenza di un’energia e di una vitalità troppo strabocchevoli per ridursi al mondo sensibile veniva in modo quasi naturale, ora col procedere degli anni è un’altra consapevolezza, più matura, a guidare il poeta nelle stessa direzione di stupore di fronte al mistero intravisto nel creato.
Ora quel tempo è passato
Ora quelle gioie non sono più
Né tutti i suoi vertiginosi rapimenti. Né per questo
Mi sento mancare o m’addoloro e mi lagno
Altri doni sono giunti, per tale perdita, e io li considero
Abbondanti compensi.
Perché ho imparato a guardare il mondo non come
Nell’età della giovinezza, ma intento spesso
Ad ascoltare la pacata triste musica dell’umanità,
Né aspra né stridente. Ed ho sentito una presenza
Che mi turbava con la gioia
Di elevati pensieri, un senso sublime
Di un qualcosa ancor più profondamente infuso,
la cui dimora è il fuoco del sole reclinante, l’oceano
ricurvo, l’aria vivente e il cielo
azzurro e nella mente dell’uomo
un moto e uno spirito
impresso in ogni essere pensante.(…)
Ma c’è un fattore, anzi, una persona in carne e ossa che ha contribuito a questo mutamento, che ha integrato la prospettiva del singolo: è la sorella Dorothy che subito dopo Wordsworth descrive come “cara amica” aggiungendo con quasi stupita ingenuità “ma ora ci sei”. E addirittura infine, il poeta arriva anche a pensare di passare a lei il testimone e che l’esperienza fatta insieme di fronte allo spettacolo contemplato con quattro occhi possa sfidare il tempo, e superarlo.
Ed è per questo che sono ancora innamorato dei prati
Dei boschi e delle montagne (…)
E allora ricorderai che io qui venni
Mai stanco di questo culto, e anzi con sempre
Più caldo affetto, con zelo ancora più profondo
Di più pura devozione. E neppure scorderai
Che dopo molto peregrinare e dopo molti anni
Di assenza, questi boschi scoscesi, questi colli eccelsi
E questo verde paesaggio pastorale, mi furono
Ancora più cari, sia per loro virtù che per amor tuo.
Come John Donne due secoli prima aveva introdotto un ‘tu’ attivo all’interno della sua poesia qui Wordsworth supera a grandi passi la porta del Romanticismo con un ‘tu’ deliberato, un ‘tu’ complice affermando l’idea che ogni incanto naturale, ogni immagine abbia senso solo se condivisa, e che le tracce di questa pienezza, perché tale l’emozione diventa solo se è vissuta insieme, possano permanere ed essere a loro volta donate, meglio ancora, tramandate a chiunque voglia provare a riviverle insieme, magari anche semplicemente rileggendo questi versi ad alta voce.